
Radioattività indotta da neutroni
La fisica nucleare
Nel gennaio del 1934 i coniugi francesi Frédéric Joliot e Irène Curie fecero una scoperta rivoluzionaria: bombardarono alcuni elementi leggeri, come il boro e alluminio, con particelle alfa composte da due protoni e due neutroni, e compresero che si potevano creare nuovi elementi radioattivi. Era stata appena scoperta la radioattività artificiale. A Roma Fermi, grazie alla teoria del decadimento beta che aveva da poco formulato, intuì immediatamente la possibilità di indurre radioattività usando come proiettili i neutroni anziché le particelle alfa usate dai Joliot-Curie. Ma perché i neutroni?
Essendo elettricamente neutri, i neutroni non risentono della repulsione coulombiana esercitata dal nucleo atomico, a differenze delle particelle alfa che essendo cariche positivamente vengono respinte. Per questo motivo i neutroni hanno un forte potere penetrante, possono cioè raggiungere con maggiore facilità il nucleo che li può assorbire dando luogo alla generazione di nuovi isotopi o elementi. Gli isotopi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni e un diverso numero di neutroni, mentre gli elementi sono classificati in base al numero di protoni. Se un neutrone si trasforma in un protone attraverso il decadimento beta, allora un isotopo diventa un altro elemento.
La prima difficoltà a cui Fermi si trovò di fronte, fu quella di trovare una sorgente di neutroni abbastanza potente: Fermi pensò di usare una sorgente di Radon-Berillio che era molto potente. Il Radon veniva estratto dal Radio e questo era stato fornito dal professor Giulio Cesare Trabacchi, soprannominato, dai ragazzi, per questo motivo “Divina Provvidenza”, all’epoca direttore del laboratorio di Fisica dell’Istituto di Sanità Pubblica che si trovava all’interno dell’Istituto di Via Panisperna. Dopo che il campione veniva sottoposto, per un tempo che poteva variare da alcuni minuti ad alcune ore, alle radiazioni, lo si portava subito nella stanza dei contatori Geiger per verificare la presenza o meno di attività radioattive. In pratica osservarono che questa reazione trasforma un nucleo in uno immediatamente più pesante o più leggero.
Deciso a procedere con la massima velocità, coinvolse Rasetti e tutti i giovani ragazzi del suo gruppo, Edoardo Amaldi, Emilio Segrè e Oscar D’Agostino, “il chimico di Via Panisperna” in una indagine sistematica sull’intera tavola periodica e cercarono di attivare più elementi possibili. Fermi e Rasetti si occupavano dei calcoli e delle misurazioni, Segrè aveva il compito di reperire le sostanze irradiate e le attrezzature, Amaldi costruiva i contatori Geiger e d’Agostino analizzava i sottoprodotti del bombardamento con le più avanzate tecniche di radiochimica. In pochi mesi scoprirono molti nuovi radioisotopi.
Nel giro di pochi mesi Fermi e i suoi collaboratori riuscirono ad indurre radioattività su un gran numero di elementi e furono scoperti un gran numero di radioisotopi. Nel maggio dello stesso anno arrivarono a bombardare gli elementi più pesanti e osservarono la radioattività indotta nell’Uranio. Complesse analisi radiochimiche esclusero la possibilità che l’elemento si fosse disintegrato in sottoprodotti che corrispondessero a elementi più leggeri dell’uranio fino al piombo (ipotizzarono che non ci sarebbe stato nulla di più leggero).
L’interpretazione di Fermi, dettata dalla logica e dalle conoscenze allora esistenti sulle reazioni nucleari, fu quella di aver prodotto due nuovi elementi mai visti prima, i cosiddetti elementi transuranici che vennero ribattezzati Ausonio ed Esperio. Questi risultati vennero poi confermati anche da altri esperimenti condotti in diversi altri laboratori, come a Berlino e Parigi, e da successive ricerche di Fermi e dei suoi collaboratori. In realtà, i nuclei trovati da Fermi non erano elementi transuranici, ma corrispondevano ad altri elementi con numero atomico di molto inferiore all’Uranio; Fermi aveva realizzato la fissione nucleare
A conclusione dell’anno accademico, durante una solenne seduta all’Accademia dei Lincei, alla presenza del Re, Orso Mario Corbino tenne una conferenza dove sottolineava l’enorme contributo di Enrico Fermi a livello internazionale nel progresso della Fisica Nucleare grazie all’attivazione di un gran numero di elementi. Corbino, nonostante le raccomandazioni alla cautela da parte di Fermi, diffuse la notizia della scoperta del nuovo elemento ritenendolo già sicuramente verificato. Tutti i giornali in Italia e all’estero parlarono di questo avvenimento, diffondendo la notizia velocemente.

Il tavolo di legno e la fontana dei pesci rossi
La scoperta dei neutroni lenti
Dopo le vacanze estive si unì al gruppo anche Bruno Pontecorvo, il “Cucciolo” di Via Panisperna che affiancò Amaldi nello studio delle condizioni ottimali di irraggiamento degli elementi. Pontecorvo notò, quasi immediatamente, che nella camera oscura dove di solito si effettuavano gli esperimenti c’erano alcuni tavoli in legno che avevano proprietà quasi miracolose. Se si irradiavano gli elementi su quei tavoli, piuttosto che su quelli in marmo, si osservava un inaspettato aumento della radioattività. Fermi inizialmente non fu molto felice di questi risultati, che furono duramente criticati anche da Rasetti che additò Amaldi e Pontecorvo come incapaci di effettuare misurazioni pulite e riproducibili.
Fermi decise, quindi, di lavorare personalmente nel laboratorio e inserì un blocco di paraffina tra la sorgente di neutroni e il bersaglio, trovando che la radioattività aumentava, senza alcuna ragione apparente, fatto che lasciò di stucco tutti i suoi collaboratori. All’ora di pranzo di quello stesso giorno, Fermi decise di tornare a casa per meditare sull’accaduto e nel pomeriggio tornò con la soluzione del mistero: la paraffina contiene idrogeno, negli urti con l’idrogeno i neutroni perdono energia, si raffreddano; i neutroni lenti hanno maggiore probabilità di essere assorbiti dal nucleo atomico. Questo spiegava perché il legno (che contiene idrogeno) era più efficiente del marmo. Il fisico Hans Bethe anni dopo notò che negli Usa nessuno avrebbe notato l’effetto perché non ci sono tavoli di marmo. Visto che un semplice pezzo di paraffina aumentava di così tanto l’attività, l’intero gruppo si precipitò nella fontana dei pesci rossi posta nel cortile dell’Istituto per verificare se l’ipotesi di Fermi fosse corretta con l’idrogeno contenuto nell’acqua: anche qui si misurò un alto tasso di attività.
La sera l’intero gruppo si riunì a casa di Amaldi per scrivere i risultati sotto forma di articolo. Fermi dettava, Segrè scriveva e tutti gli altri intervenivano. L’eccitazione era tanta e a tratti incontrollabile. L’indomani, visto l’insolito frastuono, la cameriera di casa Amaldi chiese a Ginestra, moglie di Edoardo, se non avessero bevuto troppo la sera precedente. Corbino intuisce immediatamente la potenzialità di tale scoperta che potrebbe avere varie applicazioni chimiche mediche e biologiche e spinse per il brevetto che verrà intestato a tutti i Ragazzi di Via Panisperna, compreso Trabacchi, ovvero “Divina Provvidenza”, che Fermi non smise mai di ringraziare.
Tuttavia, dalla scoperta del ruolo dei neutroni lenti nella radioattività indotta al riconoscimento del fenomeno della fissione nucleare ed al suo utilizzo sistematico mancavano ancora vari tasselli: la spaccatura del nucleo dell’Uranio in due grossi pezzi, la produzione di energia e la produzione di altri neutroni fondamentali per autosostenere la reazione. Per capire tutto questo ci volle ancora qualche anno.

La reazione a catena è possibile
La fissione dell’uranio
Per capire cosa succede quando l’uranio viene colpito dai neutroni lenti, i fisici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann, a Berlino analizzarono con cura la composizione del campione di Uranio irradiato: conclusero che l’elemento risultante doveva essere Bario, un elemento con una massa di circa la metà dell’uranio. Questo dato sovvertiva tutto quello che si sapeva della fisica nucleare, perché si pensava che nei decadimenti venissero via “schegge” di piccola taglia; rompere in due il nucleo dell’atomo non era proprio immaginabile. Durate il Natale del 1938, Hahn e Strassman, fatte diverse verifiche, decisero di pubblicare il lavoro che indicava che l’elemento prodotto dai neutroni sull’Uranio è senza dubbio Bario.
Hahn era in contatto con Lisa Meitner, una fisica teorica austriaca di origine ebraica che era fuggita dalla Germania nazista e si era stabilita in Svezia, e le chiese se ci potessero essere spiegazioni fisiche del loro risultato. Fermi, in quel momento, era andato a Stoccolma per ricevere il premio Nobel e successivamente si era imbarcato verso gli Stati Uniti e non era dunque raggiungibile.
Lisa Meitner rifletté sul modello a goccia dei nuclei, proposto poco tempo prima dal fisico danese Neils Bohr secondo cui un nucleo di uranio si comporta come una goccia di liquido, tenuta insieme dalle forze nucleare e sotto tensione per la repulsione coulombiana dei protoni. Secondo Lisa Meitner l’assorbimento di un neutrone mette la goccia in vibrazione; se si forma un collo, la repulsione coulombiana lo allunga, finché la goccia si spezza in due parti con un peso atomico di circa la metà del peso atomico dell’Uranio: questi corrispondono ai frammenti della fissione nucleare. I due frammenti (nuclei) che risultano dalla fissione hanno una massa complessiva inferiore del nucleo di uranio di partenza. Con questa differenza di massa, Lise Meitner, utilizzando la nota formula di Einstein della teoria della relatività E=mc², calcolò l’energia liberata durante la fissione. Il risultato che ottenne era di circa 200 milioni di elettronvolt per ogni nucleo fissionato. Con questo decisivo calcolo, Lise Meitner, pose le fondamenta per lo sviluppo sperimentale della fissione nucleare, per il suo futuro uso bellico e per quello pacifico come le future centrali nucleari. Pochi giorni dopo raccontò della scoperta Niels Bohr, in partenza per un congresso negli Stati Uniti. Bohr saputo il risultato di Meitner reagì esclamando con entusiasmo: «Che idioti siamo stati tutti quanti! È fantastico! Deve essere proprio così!».
A quel punto si intuì subito che, se nella fissione dell’uranio si liberano neutroni, questi potrebbero determinare a loro volta la fissione di altri nuclei e portare ad una reazione a catena potenzialmente in gradi di auto-sostenersi. Bohr e Fermi si incaricarono di fornire una conferma immediata mettendo l’Uranio in una camera a ionizzazione e bombardandolo con neutroni lenti: la camera mostrò tracce fortemente ionizzanti del decadimento radioattivo dell’Uranio, ben più intense delle tracce delle particelle alfa. Queste tracce corrispondono al fatto che la massa dei frammenti del nucleo di uranio è molto maggiore di quella delle particelle alfa. Fermi non aveva visto niente di tutto questo a Roma perché negli esperimenti di Via Panisperna i campioni di Uranio erano stati avvolti in fogli di alluminio, che avevano bloccato i frammenti di fissione e per questo i risultati erano stati interpretati come elementi transuranici. In pochi mesi, Fermi insieme con il fisico ungherese Leo Szilard, dimostrarono che in ciascuna fissione vengono emessi circa due neutroni e dunque che la reazione a catena è possibile: l’energia nucleare controllata, ma anche la bomba atomica, sono dunque possibili.