
Max Planck e il Corpo Nero
I quanti di luce
Nell’ottocento tutte le scienze fecero passi da gigante. In particolare, la Meccanica, la Termodinamica e l’Elettromagnetismo sembrarono in grado, insieme alla Chimica, di interpretare correttamente tutti i fenomeni del nostro mondo. La lampadina elettrica rappresentava al meglio la vittoria della luce sulle tenebre: nel 1880 Thomas Edison brevettò la lampada ad incandescenza con filamento di carbonio e poi nel 1890 fu brevettato l’uso del filamento di tungsteno. La neonata industria elettronica dedicata alla produzione di lampadine aveva però un problema: non era in grado di misurare in modo assoluto la potenza luminosa delle lampadine, cosa fondamentale per caratterizzare il suo prodotto. Aveva bisogno di una sorgente di luce di riferimento con la quale tarare gli strumenti di misura.
Una sorgente assoluta, in teoria, c’era, ed era il Corpo Nero un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione luminosa incidente senza rifletterla. Ricordiamo che il colore di un corpo dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione di luce riflessa: se riflette luce rossa ha un colore rosso, verde se riflette quella verde; se un corpo non riflette niente allora è nero. Ma il fatto che il corpo nero non rifletta luce di alcun colore, non vuol dire che non emetta lui stesso della luce. Non riflettendo, il corpo nero assorbe dunque tutta l’energia incidente che re-irradia in maniera continua su tutto lo spettro della radiazione luminosa.
Nel 1864, due anni dopo l’introduzione del concetto di corpo nero, James Clerk Maxwell formulò le equazioni che descrivono l‘elettromagnetismo come fenomeno ondulatorio: con Maxwell impariamo che il colore della luce, che appunto è un’onda elettromagnetica, dipende dalla sua lunghezza d’onda. Sperimentalmente era stato osservato che l’intensità della radiazione emessa da un corpo nero in funzione della lunghezza d’onda ha una caratteristica forma a campana il cui picco di emissione è determinato dalla temperatura del corpo stesso. La descrizione che le equazioni di Maxwell davano del fenomeno dell’emissione di corpo nero era però in forte contraddizione con le osservazioni sperimentali; tali equazioni prevedevano che la quantità di energia contenuta nel corpo nero non fosse finita e crescesse in maniera incontrollata per le alte frequenze. Questa evidenza contravveniva al principio di conservazione dell’energia. Serviva quindi una nuova interpretazione della natura alla scala atomica che risolvesse questa problema.
Si dovettero aspettare quasi 40 anni per trovare una sorgente campione. In questo periodo, le industrie produttrici di lampadine finanziarono largamente la ricerca su questo tema presso università e centri di ricerca. Si arrivò così al 1900 quando Max Planck ipotizzò che gli scambi di energia nei fenomeni di emissione e di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche avvenissero in forma discreta, in maniera proporzionale alla frequenza di oscillazione della radiazione, e non in forma continua come sosteneva la teoria elettromagnetica classica. In questa ipotesi, calcolando lo spettro di emissione del corpo nero si riproduce correttamente l’andamento sperimentale, purché si scelga per la costante di proporzionalità tra energia e frequenza il valore in accordo con gli esperimenti. Questa costante fu così chiamata costante di Planck. In questo modo fu possibile calcolare l’intensità totale della radiazione emessa, fondamentale per utilizzare il corpo nero come sorgente campione ciò che chiedevano i costruttori di lampadine.

Albert Einstein ed il quanto di luce
La luce: onde e particelle
Qualche anno più tardi Albert Einstein dette la corretta interpretazione di un fenomeno osservato molto particolare che rafforzerà l’ipotesi quantistica di Planck: l’effetto fotoelettrico. Questo è il fenomeno fisico caratterizzato dall’emissione di elettroni da una superficie di un metallo quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica avente una certa frequenza. Più precisamente si osserva che l’emissione di elettroni avviene solo se la frequenza della radiazione luminosa è maggiore di un certo limite che varia da sostanza a sostanza. Se la frequenza è inferiore alla frequenza limite, all’aumentare della potenza della radiazione incidente non si ha alcuna estrazione di elettroni, mentre al di sopra della frequenza limite si estraggono elettroni anche con bassissima potenza. Inoltre, all’aumento di potenza corrisponde un aumento del numero di elettroni estratti.
Einstein intuì che l’estrazione degli elettroni dal metallo si poteva spiegare ipotizzando che la radiazione elettromagnetica fosse costituita da pacchetti di luce di energia proporzionale alla frequenza come appunto assunto da Planck. L’ipotesi quantistica di Einstein non fu accettata per diversi anni da una parte importante della comunità scientifica secondo la quale la reale esistenza dei fotoni era un’ipotesi inaccettabile. Questa convinzione era basata dall’osservazione dei fenomeni di interferenza della luce che possono essere spiegati solo se le radiazioni elettromagnetiche si comportano come onde. Il fenomeno dell’interferenza è infatti dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde. L’intensità dell’onda risultante in quel punto può variare tra un minimo, ed un massimo coincidente con la somma delle intensità. Se però invece di onde abbiamo particelle come i fotoni, come può essere spiegata l’interferenza? La soluzione di questo paradosso impegnerà altri vent’anni.