Una donna con un grembiule nero da lavoro, lo sguardo intenso rivolto ai suoi strumenti e una nuvola di capelli chiari raccolti in una crocchia: forse non esiste un’immagine più iconica di Marie Curie nel suo laboratorio per rappresentare una vita dedicata alla scienza. Marie Curie seduta al tavolo da lavoro davanti a uno strumento. La fotografia è colorata artificialmente A Parigi, nell’edificio che ospitava il laboratorio dove Marie Curie ha lavorato dal 1915 al 1934, sorge adesso un piccolo Museo che ripercorre la vita e le scoperte di due generazioni di Nobel. Pierre e Marie Curie, e la figlia maggiore Irène con suo marito Frédéric Joliot, hanno infatti ricevuto nel corso delle loro carriere ben cinque premi Nobel in due diverse discipline: la fisica e la chimica. Nel Museo si trovano strumenti originali, pannelli che raccontano la storia del Radio e la ricostruzione dello studio di Marie e del laboratorio di chimica, con tanto di attrezzature. L’ingresso è gratuito e in libero accesso dal mercoledì al sabato nel pomeriggio, ma come anche per il nostro Museo, l’esperienza assume tutto un altro sapore se si partecipa a una visita guidata. E noi abbiamo avuto il privilegio di farne una privata con Camilla Maiani, mediatrice culturale al Museo. L’incontro con Camilla Maiani e con il direttore Renaud Huynh è stato importante per porre le basi di una futura collaborazione tra i due Musei. Molti sono infatti i legami tra la storia della famiglia Joliot-Curie e il gruppo di via Panisperna, a cominciare dalla foto del primo congresso internazionale di fisica Nucleare, sulle scale della nostra palazzina, dove la figura in nero di Mme Curie spicca come un unicum tra tanti scienziati uomini (e solo in alcune versioni si scorge una Lise Meitner, altra partecipante, in margine dell’inquadratura). Nel nostro Museo, poi, si trova l’immagine del “vaso di fiori” che nel 1903 Marie Curie inserisce nella sua tesi di dottorato per spiegare i diversi tipi di radiazione: gamma, alpha e beta. E proprio la spiegazione del comportamento dei raggi beta, che presentava diverse difficoltà teoriche, è stato uno dei lavori più importanti di Fermi. Gli stessi esperimenti del ’34 non avrebbero forse avuto luogo se Marie Curie, nel 1918, non fosse venuta in Italia, invitata da Vito Volterra: da quel viaggio, nel corso del quale percorse l’Italia da Nord a Sud, vennero poste le basi per la fondazione di un nuovo istituto, l’Istituto del Radio, che troverà la propria sede a via Panisperna e verrà affidato a Giulio Cesare Trabacchi, soprannominato “la divina provvidenza” poiché fu lui a fornire al gruppo di Fermi il prezioso materiale. E ancora, fu proprio la scoperta della radioattività artificiale da parte di Irène Curie e Frédéric Joliot, nel cui laboratorio aveva lavorato anche Oscar D’Agostino e dove lavorerà Bruno Pontecorvo, a suggerire a Fermi l’idea di bombardare il nucleo atomico con i neutroni. La circolazione di idee e le collaborazioni, allora come oggi, sono fondamentali per la ricerca. Per questa ragione il Museo Fermi e il Museo Curie hanno deciso di dare vita a una collaborazione che verterà su scambi di natura culturale e materiale (documentazione, strumenti) legati alla storia della fisica e ai rapporti tra l’ambiente romano e quello parigino a partire dai primi anni del Novecento fino agli anni Cinquanta del Novecento, oltre che su temi riguardanti la museografia storico scientifica e la comunicazione della scienza, con particolare attenzione ad azioni di outreach rivolte ad un pubblico non specialistico.  

Una donna con un grembiule nero

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