Il tema del Salone del Libro di Torino di quest’anno è La vita immaginaria,  ispirato a un libro di Natalia Ginzburg.

Anche noi vogliamo dedicarle un pensiero, ricordandola come testimone e  protagonista di quell’ambiente di borghesi colti del primo novecento che si muovevano con naturalezza tra scienza, arte e letteratura.  Giuseppe Levi, il padre burbero raccontato in “Lessico famigliare”,  è stato un importante scienziato, anatomista e medico, oltre ad essere il maestro di bene tre premi Nobel – Renato Dulbecco, Salvatore Luria e Rita Levi-Montalcini, che ne parla in “Elogio dell’imperfezione”.  E i membri della famiglia Levi avevano amicizie e conoscenze estese, tanto che diversi sono di personaggi storici ritratti dalla penna di Natalia attraverso i ricordi di bambina. Tra loro anche uno dei Ragazzi di via Panisperna; quel Franco Rasetti che arriva a casa Levi tramite lo zio Gino Galeotti,  anche lui medico.

“Il nipote di Galeotti si chiamava Franco Rasetti. Studiava fisica: aveva però anche lui la mania di raccogliere insetti e minerali, e questa mania l’aveva attaccata a Gino (un dei fratelli di Natalia ndr). Tornavano dalle gite con zolle di muschio nel fazzoletto , scarabei morti e cristalli dentro al sacco da montagna. Franco Rasetti, a tavola, parlava incessantemente, ma sempre di fisica, o di geologia, o di coleotteri: e parlando tirava su col dito tutte le briciole sulla tovaglia. Aveva il naso puntuto e il mento aguzzo, un colorito sempre un po’ verdognolo da lucertola, e baffetti spinosi. – È molto intelligente – diceva di lui mio padre. – Però è arido! È molto arido! – Franco Rasetti, tuttavia, pur essendo arido, aveva scritto una poesia, una volta, tornando con Gino da una gita, mentr’erano in un casale abbandonato e aspettavano che finisse di piovere:

Cade la pioggia lenta ed uniforme
sui prati verdi e sulle rocce nere
Nell’aria si dileguan varie forme
Velate di caligini leggere

(…) a me la poesia delle rocce nere sembrava bellissima; e mi struggevo d’invidia, per non averla scritta io. Era semplice: prati verdi, rocce nere, ne avevo visti tante volte anche io, in montagna, e non mi era venuto in testa che si potesse farne niente: li avevo guardati e basta. Le poesie erano dunque così: semplici, fatte di niente; fatte delle cose che si guardavano.

Frequentava la casa anche la madre di Rasetti,  Adele,  che era appassionata di scienze naturali e pittrice. In un epoca in cui l’Accademia era preclusa alle donne, lei era riuscita a studiare addirittura con Giovanni Fattori, caposcuola dei macchiaioli, che per ragioni economiche aveva aperto una classe esclusivamente per donne all’interno dell’Accademia. Ecco come la ricorda Natalia Ginzburg:

“L’Adele Rasetti, la sorella di Galeotti, aveva molto passeggiato con mia madre dicendole i nomi delle erbe, delle piante e degli insetti; perché in quella famiglia erano tutti entomologi e botanici. (…) Al mattino l’Adele si alzava presto, per fare i conti col fattore, o per dipingere; oppure se ne andava sui prati a erborizzare, piccola, magra, col naso puntuto, col suo cappello di paglia. – Com’è brava l’Adele! Si alza presto, dipinge, va a erborizzare! – diceva sempre mia madre ammirata, lei che non sapeva dipingere, e non riconosceva il basilico dalla cicoria. Mia madre era pigra, ed era sempre piena di ammirazione per la gente attiva; e ogni volta che vedeva l’Adele Rasetti si metteva a leggere manuali di scienze, per imparare anche lei qualcosa sugli insetti e sulla botanica: ma poi si stufava e lasciava lì”

Questa pluralità di mondi, di passioni, diventa poi lo spunto per una riflessione personale da parte di una giovane Natalia che si interroga su cosa sarà da grande, quale sarà la sua strada.

“Da una parte c’erano Gino e Rasetti, con le montagne, le “rocce nere”, i cristalli, gli insetti. Dall’altra parte c’erano Mario, mia sorella Paola e Terni, i quali detestavano la montagna, e amavano le stanze chiuse e tiepide, la penombra, i caffè. Amavano  i quadri di Casorati, il teatro di Pirandello, le poesie di Verlaine, le edizioni di Gallimard, Proust. Erano due mondi incomunicabili. Io non sapevo ancora se avrei scelto l’uno o l’altro. Mi atiravano tutti e due. Non avevo ancora deciso se, nella mia vita, avrei studiato i coleotteri, la chimica, la botanica, o se invece avrei dipinto quadri, o scritto romanzi. Nel mondo di Rasetti e Gino era tutto chiaro, tutto si svolgeva alla luce del sole, tutto era plausibile, non c’erano misteri o segreti; invece nei discorsi che facevano Terni, la Paola e Mario sul divano in salotto, c’era qualcosa di misterioso e d’impenetrabile, che esercitava su di me una mescolanza di fascino e spavento.”

 

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