“Oggi, quando ormai quel poco che potevo fare l’ho fatto, e mi avvio alla conclusione generale, ho un passato da raccontare, e questo è il passato di un fisico normale, che molti potranno giudicare mediocre, o comunque non geniale, come ce ne sono tanti. Eppure, qualche diritto a fare la storia lo abbiamo, nel senso che, specie vivendo in un mondo che adora i geni come usava con i semidei, i comuni mortali hanno talvolta coscienza dei loro limiti e, perciò, bisogno di consolazione. La Fisica progredisce con i bagliori delle grandi idee, ma anche con la moltitudine delle fiammelle di ideuzze, che non danno fama ma rischiarano il panorama”.
Così scriveva Carlo Bernardini, uno dei protagonisti del rilancio della fisica italiana degli anni ’50-’60 del Novecento.
Bernardini nacque a Lecce nel 1930, finì il liceo con due anni di anticipo e scelse di seguire la strada della fisica, a quei tempi non troppo frequentata. Arrivò a Roma nel 1947, era un giovane ragazzo di diciassette anni e rimase subito folgorato dalle lezioni di fisica tenute da Gilberto Bernardini. Successivamente si trasferì all’Istituto di Fisica dove era presente Edoardo Amaldi, ma il suo relatore di tesi diverrà Bruno Ferretti.
La nascita dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) nell’agosto del 1951 accese l’interesse del panorama scientifico italiano verso le macchine acceleratrici. Fu necessaria la creazione di un gruppo di giovani fisici, primi della classe, capitanati da Giorgio Salvini per la realizzazione dell’elettrosincrotrone, impresa che andava di pari passo con la creazione di un Laboratorio Nazionale a Frascati. Bernardini, laureatosi nel 1952, fu uno di quei giovani che entrò a far parte del progetto.
Quando la costruzione della macchina acceleratrice fu terminata (1959), entrò in scena “un profeta mandato da Dio”, il fisico austriaco Bruno Touschek, che era arrivato a Roma già nel 1952 per volere di Amaldi. Bernardini restò immediatamente affascinato dalla figura di Touschek, che era “l’opposto dello stereotipo del professore di fisica”, ed entrò a far parte del gruppo che si occupò della progettazione e costruzione dell’Anello di Accumulazione (AdA), il primo prototipo di macchina che sfruttava la collisione di elettroni con le loro antiparticelle (positroni). Rivestì un ruolo fondamentale per il superamento di alcune difficoltà tecniche incontrate. Di quel periodo ricordò:
“Ero diventato un ibrido: i fisici teorici mi trattavano come uno sperimentale che era in grado di comunicare con loro, gli sperimentali come un teorico che progettava esperimenti”.
Descrivere il ruolo che rivestì Carlo Bernardini in poche righe non renderebbe giustizia al suo grande lavoro ma facciamo rapidamente presente che si adoperò con un forte impegno politico nel campo delle riforme scolastiche e universitarie, che fu autore di innumerevoli libri divulgativi e non, che diresse la rivista Sapere, contribuendo per anni al giornalismo scientifico del nostro Paese e che contribuì alla creazione dell’Unione Scienziati per il disarmo nel 1982.
Brillante oratore e comunicatore, attribuiva grande importanza all’insegnamento, che viveva con una vera missione e che descriveva come l’arte più nobile del mondo. Le sue lezioni hanno influenzato generazioni di fisici. Lui, che aveva avuto dei grandi maestri, lo diventò per molti altri.
In foto Carlo Bernardini e Francesco Lenci al Forum dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (1987). Crediti foto il Giornale di Scienza Galileo.