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Bruno Touschek, probabilmente una delle menti più geniali che il nostro Paese abbia mai ospitato

Un racconto scritto da Storie Scientifiche per il Centro Ricerche Enrico Fermi.

“È difficile rappresentarsi, senza averlo conosciuto, Bruno Touschek. All’opposto dello stereotipo del professore di fisica, assorto nei suoi pensieri e un po’ svagato, dovete immaginare un tipo irrequieto, propenso a dire battute eccentriche e stravaganti, a fare giochi di parole ibridi (austiraco+italiano+inglese) e a saettare con occhi vivacissimi all’indirizzo dell’interlocutore.”

Così Carlo Bernardini descriveva Bruno Touschek, una delle menti più geniali che il nostro Paese abbia avuto l’onore di ospitare. Touschek rivestì un ruolo di primaria importanza nello sviluppo degli acceleratori di particelle in Italia, supervisionando la costruzione dell’Anello di Accumulazione (AdA).

Nato a Vienna nel 1921, era ebreo da parte di madre, circostanza questa che segnò profondamente il corso della sua vita. Non ebbe particolari problemi fino al marzo del 1938, quando ci fu l’Anschluss (l’annessione dell’Austria alla Germania Nazista) e venne espulso da scuola quando stava per frequentare l’ultimo anno del liceo. La maturità la prese da privatista e subito dopo passò un breve periodo in Italia, andando a trovare la sua amata zia Ada. Qui iniziò a seguire alcune lezioni di ingegneria, ma il suo desiderio era quello di spostarsi a Manchester per studiare chimica. Lo scoppio della guerra cancellò questa possibilità e Touschek tornò a Vienna dove iniziò a frequentare alcuni corsi di matematica e fisica. Dopo che furono emanate le leggi razziali fu espulso, nel 1940, dall’università. Grazie all’aiuto del fisico Paul Urban, e al benestare di Arnold Sommerfeld, riuscì a trasferirsi all’Università di Amburgo.

Nel 1943 lesse un articolo (che ebbe un’enorme influenza su di lui) del fisico norvegese Rolf Widerøe, pioniere nello studio delle macchine acceleratrici di particelle. In quel lavoro, Widerøe proponeva la costruzione del primo betatrone europeo da 15 MeV ad Amburgo. Touschek gli scrisse una lettera, correggendo alcuni errori di calcoli relativistici e iniziò tra i due una collaborazione che culminò con l’accensione della macchina nell’autunno del 1944.

Non molto tempo dopo, nei primi mesi del 1945, Touschek venne arrestato dalla Gestapo e imprigionato. Durante un trasferimento al campo di concentramento di Kiel, durante una delle tante marce della morte, cadde a terra mentre marciava con il suo pesante carico di libri, in preda a una febbre altissima. Una SS, avvicinandosi, fece esplodere un colpo che lo ferì dietro all’orecchio; creduto morto fu abbandonato per la strada. Soccorso e portato all’ospedale, fu nuovamente arrestato e rinchiuso fino alla fine della guerra.

Nel 1946 tornò alla sua amata fisica e si trasferì a Göttingen, dove ottenne il titolo di “diplom-physiker” con una tesi sulla teoria del betatrone e iniziò a lavorare sotto la guida di Werner Heisenberg. L’anno successivo si trasferì a Glasgow, iniziando a lavorare sulla costruzione del sincrotrone. Contemporaneamente portò avanti il suo forte interesse per la fisica teorica, conseguendo nel 1947 il dottorato. Nel settembre del 1952, durante uno dei suoi molti viaggi in Italia, si incontrò più volte con Bruno Ferretti che all’epoca era titolare della cattedra di fisica teoria all’Istituto Romano. Le visioni scientifiche molto simili fecero nasce in Touschek il desiderio di trasferirsi a Roma. Edoardo Amaldi, “l’indiscusso patriarca” della fisica italiana del dopoguerra, si mobilitò immediatamente per far ottenere a Bruno un posto da ricercatore all’interno del neonato Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).

“A molti, seriosi e tradizionalisti, i modi sbrigativi e diretti di Touschek (mai aggirare gli ostacoli, distruggerlo piuttosto come un rullo compressore) apparivano eccessivi- Bruno era intransigente con i colleghi illustri perché dovevano dimostrare di essere all’altezza del ruolo che ricoprivano, era invece disponibile e indulgenti con gli studenti. [..] La sua presenza era continua e instancabile e la sua eccezionale particolarità era quella di essere generoso con le idee, che distribuiva imparzialmente a chiunque avesse voglia di discutere con lui, specie se più giovane. Non è certo una qualità comune, tra i fisici.”

L’interesse per le macchine acceleratrici, sogno coltivato già da Enrico Fermi, era in crescente aumento e nel 1952 decani della fisica italiana, Amaldi e Gilberto Bernardini, riuscirono a finanziare un progetto per una grossa macchina acceleratrice di elettroni del tipo sincrotrone, che andava di pari passo con la costruzione di quelli che diventeranno i Laboratori Nazionale di Frascati. Grazie alla sua brillante personalità, Touschek divenne un punto di riferimento per chiunque volesse occuparsi di fisica delle particelle, formando un’intera generazione di fisici: i suoi primi laureandi furono Nicola Cabibbo e Francesco Calogero che entrambi ricoprirono ruoli da protagonisti nel palcoscenico internazionale.

Quando nel 1959 entrò in funzione l’elettrosincrotrone Bruno era già insoddisfatto della fisica che si poteva fare con quel tipo di macchina che era, però, tra le più potenti al mondo nel suo genere.

Come egli stesso scrisse:

“In tutto il mondo nuove e più grandi macchine venivano progettate e costruite e si riteneva che se Frascati voleva tenersi al passo bisognava costruire qualcosa di più nuovo e di più grande.”

In effetti, a quel tempo, stava andando in funzione anche il protosincrotrone del CERN e molti dei fisici erano entusiasti nel poter usare quel tipo di macchinario perché grazie ai protoni si sarebbe potuto studiare più agevolmente le proprietà delle interazioni forti. Touschek invece si preoccupava che la fisica con i protoni non desse risultati sufficientemente chiari e, non di rado, la definiva “teppaglia adronica”.

Per sviluppare nuove idee e cercare di essere all’avanguardia si creò un gruppo teorico proprio a Frascati.

“Fui invitato- scrive sempre Bruno- a una riunione in cui veniva discussa questa idea e sembrava anche che io fosse stato prescelto per dirigere questo gruppo. L’idea non mi piaceva. Sapeva di quello che in Germania si chiamava “il teorico di casa”, un animale addomesticato che vende sé stesso e il poco cervello che gli resta a una istituzione sperimentale alla quale deve risultare utile. Temevo, e questa era una paura del tutto personale e forse ingiustificata, di finire con l’avere il compito di provare dal punto di vista sperimentale che a Frascati gli sforzi e il denaro fossero spesi bene. Tuttavia, ero attratto dalla possibilità di imparare come una grande impresa come Frascati lavorava ed ero particolarmente affascinato dall’idea di avere alcuni contatti con gli aspetti tecnologici dei servizi e con le tecniche necessari al lavoro di questa grande macchina. All’epoca mi sentivo piuttosto esaurito da un’overdose di lavoro che avevo cercato di fare nel campo più astratto della ricerca teorica. Per questo volevo tirarmi fuori dalle nuvole e tornare con i piedi per terra, tornare a ciò che ritenevo di capire davvero: la fisica elementare.”

Nell’autunno del 1959 Wolfgang Panofsky tenne un seminario a Roma dove discusse delle possibilità concerete di far collidere due fasci di elettroni nella sezione retta di una macchina costituita da due anelli tangenti. Tra gli uditori c’era Touschek che replicò che una fisica molto più interessante sarebbe potuta scaturire realizzando delle collisioni tra gli elettroni e i positroni. Nella sua testa si era già posato il germe degli acceleratori materia-antimateria. Il problema principale, che faceva storcere il naso a molti, era la possibilità di far girare due fasci di particelle di carica opposta in un unico anello per farli scontrare e Bruno cercava di convincere gli scettici, come ricorda Carlo Rubbia “facendo risuonare la sua voce nei corridoi, mentre urlava che il positrone e l’elettrone dovevano incontrarsi grazie al teorema CPT” (simmetria di carica, di parità e di tempo).

Il 7 marzo, a Frascati, Touschek si rese protagonista di uno storico seminario dove illustrò le potenzialità dei processi di annichilazione elettrone-positrone e portando a compimento, nel giro di poco tempo, il progetto AdA, il primo prototipo al mondo di quel tipo di macchina che diede il largo a una nuova visione della fisica delle particelle elementari.

“Noi fisici gli siamo grati come a pochi altri, perché il profondo cambiamento dei mezzi strumentali con cui oggi si fa la fisica delle particelle è merito suo, e proprio perché in tanti ne abbiamo approfittato, la fisica ha fatto passi così grandi.”